Original source: https://www.sistemapenale.it/it/articolo/giornata-mondiale-del-rifugiato-loccasione-per-avviare-un-dibattito-sulla-depenalizzazione-del-favoreggiamento-dellingresso-per-ragioni-umanitarie
S. Zirulia | Riflessioni in vista della sentenza della Corte di giustizia UE sul caso Kinsa e della proposta della Commissione europea di riforma del Facilitators package
1. Oggi, come ogni anno, si celebra la giornata mondiale del rifugiato. Per rendersi conto della portata epocale del tema è sufficiente pensare che, in base al rapporto dell’UNHCR Global Trends. Forced displacement in 2023, pubblicato pochi giorni fa, attualmente circa 117 milioni di persone sono costrette ad abbandonare la propria casa per fuggire da guerre, persecuzioni, e contesti ambientali e climatici divenuti invivibili.
Solo apparentemente si tratta di un argomento estraneo all’ambito di interesse dei penalisti. L’assenza di canali di accesso legale per richiedere asilo, fatta eccezione per gli sporadici e largamente insufficienti corridoi umanitari, costringe le persone in fuga ad attraversare i confini clandestinamente o comunque, almeno in alcune fasi, in maniera irregolare, anche quando si tratta di persone manifestamente bisognose di protezione[1]. Allo stesso tempo, le misure erette dagli Stati occidentali a presidio dell’integrità delle proprie frontiere, spesso “esternalizzate” mediante accordi bilaterali con i Paesi di transito, rendono pressoché inevitabile, per aumentare le chances di giungere a destinazione, il ricorso a più o meno strutturate reti di “facilitatori” o “passeurs”, più comunemente definiti trafficanti o smugglers. E se da un lato l’art. 31 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati stabilisce espressamente che gli Stati non possono sanzionare penalmente i richiedenti asilo in ragione dell’irregolarità del loro ingresso, analoga previsione non esiste per coloro che, occasionalmente o professionalmente, li aiutano a compierlo; anzi, questi ultimi sono sistematicamente oggetto di repressione penale sulla base di norme adottate in adempimento di specifici obblighi sovranazionali di criminalizzazione, inclusi obblighi sanciti dal diritto eurounitario.
Il presente contributo ha lo scopo di evidenziare, sulla scorta di argomenti più estesamente presentati in precedenti lavori, l’ultimo dei quali a carattere monografico[2], che la disciplina europea di contrasto al migrant smuggling, nonché quella italiana che ne rappresenta l’attuazione, sono affette da insanabili profili di illegittimità per contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (d’ora in avanti anche CFR), tra l’altro proprio perché incidono in maniera sproporzionata sul diritto di richiedere asilo. Come pure verrà illustrato, la questione della sproporzione al metro dell’art. 52(1) CFR è attualmente oggetto di un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Grande Sezione della Corte di giustizia UE (caso Kinsa, originariamente Kinshasa, C-460/23), formulato dal Tribunale di Bologna nell’ambito di un procedimento per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare nei confronti di una richiedente asilo congolese che aveva tentato di introdurre la figlia e la nipote nel territorio italiano utilizzando documenti falsi. Parallelamente alla procedura di rinvio pregiudiziale, e verosimilmente stimolata dal suo avvio, a novembre 2023 la Commissione europea ha formulato una proposta di riforma degli obblighi di incriminazione in materia, attualmente affidati a due risalenti strumenti di diritto derivato, spesso congiuntamente richiamati come Facilitators package.
La singolare situazione venutasi così a creare, dove la stessa disciplina è contestualmente oggetto di censure sul piano della legittimità e di ripensamenti da parte del legislatore europeo, suggerisce non solo di mantenerla sotto stretta osservazione, ma anche, possibilmente, di avviare un confronto, tra esponenti delle molteplici discipline coinvolte (in primis diritto penale e diritto dell’Unione europea) finalizzato ad arricchire il dibattito con nuovi spunti di riflessione, approfondire le questioni sottese ed eventualmente suggerire soluzioni per il superamento delle criticità riscontrate.
2. Lo stretto collegamento tra migrant smuggling ed esercizio del diritto d’asilo è da tempo messo in luce dai più autorevoli studi di refugee law[3]. A fronte di push factors irresistibili come quelli evidenziati dal citato rapporto Global Trends, irrigidire le misure di contenimento dei flussi significa, evidentemente, alimentare il mercato nero della mobilità; mercato la cui espansione viene poi evocata dai policy makers per giustificare ulteriori giri di vite nelle stesse misure preventive e repressive che, a monte, hanno contribuito a generarlo. Questo contesto sta trasformando la figura del passeur. I facilitatori “benevoli”, figure socialmente riconosciute in quanto legate alle comunità di provenienza dei migranti da solidi rapporti di fiducia, vengono sostituiti oppure assorbiti dalle reti dei trafficanti professionisti, le sole a disporre delle risorse necessarie per superare gli apparati di controllo messi in campo dai Paesi di destinazione o dai Paesi di transito sostanziosamente finanziati e addestrati allo scopo. Il rapporto di cura che, a dispetto del carattere formalmente illecito del sotteso negozio giuridico, si instaurava tra le persone in movimento e i loro facilitatori “storici”, cede così progressivamente il passo a un contesto di sopraffazione e violenza, dove le persone diventano merci umane da spostare con qualunque mezzo, calpestandone sistematicamente i diritti fondamentali. È sconcertante constatare come la frequente confusione tra il fenomeno del traffico di migranti e quello della tratta di persone[4] – in parte frutto di ignoranza giuridica e in parte strategia linguistica volta a coagulare il consenso sociale attorno alla falsa idea che l’inarrestabile rafforzamento della macchina repressiva sia funzionale alla tutela dei diritti umani – rispecchi una sovrapposizione empirica che è stata generata proprio dalle misure securitarie con la quali ora la si vuole combattere.
Duplice, dunque, il circolo vizioso a cui assistiamo: l’impermeabilizzazione delle frontiere, al pari di qualsiasi altra misura giuridica tendente a soffocare un’attività che l’uomo reputa irrinunciabile, genera mercato nero (in questo caso della mobilità transnazionale), fenomeno al quale gli Stati reagiscono tentando di sigillare ulteriormente i confini; parallelamente, la cieca criminalizzazione e repressione contribuisce a trasformare il favoreggiamento delle migrazioni irregolari, da semplice mercato nero, in un vero e proprio teatro degli orrori, poi strumentalmente evocato, con il vocabolario della tratta di persone, per giustificare ulteriori dosi di misure repressive. La disfunzionalità del sistema che si è venuto a creare è talmente macroscopica che non può non stimolare una seria riflessione sulle soluzioni per invertire la rotta; a meno che non si intenda accettare l’idea che la spirale di morte e violenza nella quale le migrazioni dal Sud Globale sono state risucchiate sia tutto sommato uno strumento utile a ridurre numericamente il flusso degli arrivi indesiderati. Ma è proprio l’inaccettabilità morale di quest’ultima ipotesi – peraltro non priva di riscontri nella pervicacia con la quale vengono riproposte ricette che hanno già ampiamente dimostrato i loro disumani effetti – a imporre di considerare l’imbocco di una strada completamente diversa.
3. L’interruzione di qualsiasi circolo vizioso passa per l’individuazione delle sue cause primarie e per la loro neutralizzazione; ciò anche e soprattutto quando, proprio a causa degli errori di percezione che hanno originariamente innescato il circolo, la soluzione si presenta a prima vista di irrealistica realizzazione. Ecco allora che, se culturalmente non siamo ancora pronti a prendere seriamente in considerazione l’idea di superare l’attuale sistema delle frontiere, nondimeno una lucida e distaccata riflessione potrebbe quanto meno prendere in considerazione l’idea di abolire il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, o quanto meno modificarne in maniera radicale gli elementi di fondo.
Le norme penali in materia sono state oggetto di armonizzazione, a livello europeo, mediante la combinazione della direttiva 2002/90/CE e della decisione quadro 2002/946/GAI, entrambe tuttora in vigore e spesso congiuntamente richiamate con l’espressione Facilitators package. L’art. 1, par. 1 della direttiva definisce la condotta illecita in termini di aiuto del cittadino di uno stato terzo a entrare, transitare o risiedere sul territorio, in contrasto con la disciplina nazionale sull’immigrazione. Solo per l’aiuto a risiedere, tuttavia, il dolo specifico di lucro rappresenta un elemento del reato. Per l’aiuto a entrare o transitare è sufficiente il dolo generico. Al conseguente pericolo di sovra-criminalizzazione del favoreggiamento dell’ingresso e del transito irregolare si è inteso fare fronte mediante la previsione, al par. 2, della (mera) facoltà di giustificare le condotte umanitarie, tuttavia concretamente esercitata da pochissimi Stati membri (Italia esclusa[5]). La decisione quadro, dal canto suo, obbliga i legislatori nazionali a colpire i comportamenti illeciti definiti dalla direttiva con sanzioni di natura penale (in omaggio a una risalente tecnica double-text diffusa quando si riteneva che solo gli strumenti di terzo pilastro, come appunto le decisioni quadro, potessero introdurre obblighi di incriminazione).
4. L’attuazione del Facilitators package ha portato gli Stati membri a dotarsi di norme incriminatrici (nel caso dell’Italia, l’art. 12 t.u. imm.) sulla cui base sono stati avviati procedimenti penali non solo nei confronti di esponenti del traffico internazionale di migranti, ma anche, ad esempio, nei confronti dei membri delle ONG impegnate nei soccorsi in mare, di coloro che accolgono migranti e richiedenti asilo provenienti dalle frontiere terrestri dell’Est Europa, talvolta facilitandone il transito verso altri Stati, o ancora di coloro che facilitano l’ingresso di famigliari. Pur trattandosi di situazioni eterogenee, esse sono accomunate dal carattere umanitario (e in taluni casi salvifico) delle condotte criminalizzate; carattere che evidentemente le distingue, sul piano del disvalore, rispetto alle situazioni, poc’anzi ricordate, connotate invece da gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle persone in movimento.
La stessa Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 63/2022[6], si è soffermata sulla fondatezza criminologica della distinzione appena riferita, sottolineando come alla stessa corrisponda la distinzione tra migranti-beneficiari del favoreggiamento e migranti-vittime di traffico, e su tali premesse censurando, in particolare, la scelta del legislatore italiano di ricollegare al favoreggiamento realizzato mediante documenti falsi e/o servizi di trasporto internazionale (art. 12, comma 3, lett. d) t.u. imm.), ossia con modalità intrinsecamente innocue per il trasportato, pene della stessa entità di quelle previste, tra l’altro, per il favoreggiamento da cui deriva pericolo per la vita o l’integrità fisica del migrante (art. 12, comma 3, lett. b) t.u. imm.).
A dispetto del suo ampio respiro, l’intervento della Consulta ha riguardato soltanto una circoscritta disposizione della disciplina italiana (quella, appunto, contenente le menzionate aggravanti), lasciandone tuttavia in piedi l’impianto complessivo. Né avrebbe potuto essere altrimenti, in ragione della limitatezza del petitum ritagliato dal giudice a quo. In ogni caso, posto che la disciplina italiana costituisce fedele attuazione di obblighi di incriminazione europei, una sua rimodulazione in senso incompatibile con gli stessi determinerebbe l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese.
L’origine delle criticità che stiamo descrivendo deve pertanto essere ricercata, anzitutto, nella disciplina dettata dal Facilitators package.
5. Gli obblighi di incriminazione europei si caratterizzano per una duplice scelta politico-criminale. La prima è discostarsi dal modello di migrant smuggling tracciato, a livello internazionale, dal Protocollo di Palermo del 2000, che, al precipuo scopo di prevenire la criminalizzazione delle condotte umanitarie[7], include tra gli elementi definitori dell’illecito anche la finalità di ottenere un vantaggio economico o comunque materiale. La seconda è di prevedere la (mera) facoltà, per gli Stati membri, di escludere la responsabilità degli autori di condotte di favoreggiamento realizzate con finalità umanitaria. Queste due scelte convergono nella delineazione di un modello penale di protezione delle frontiere che include, tra le misure di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, anche la criminalizzazione di condotte umanitarie.
Un modello di questo genere appare incompatibile con l’art. 52(1) CFR (recante, tra l’altro il principio di proporzionalità), nella misura in cui determina la sproporzionata compressione di una serie di diritti previsti dalla Carta medesima. Al fine di illustrare questa tesi, è necessario passare in rassegna i quattro sotto-test che, secondo autorevoli proposte esegetiche[8], già recepite dalla Corte di giustizia dell’UE[9], compongono il giudizio di proporzionalità incorporato nell’art. 52(1) CFR: i) legittimità dell’obiettivo perseguito dal legislatore mediante la compressione di un diritto fondamentale; ii) idoneità della compressione a realizzare la finalità perseguita; iii) necessità della compressione; iv) proporzionalità in senso stretto.
5.1. Nulla quaestio, nella materia che ci occupa, per quanto riguarda la legittimità dell’obiettivo perseguito, identificabile con la protezione delle frontiere nazionali, ovvero, utilizzando la terminologia della Corte costituzionale, “l’ordinata gestione dei flussi migratori”[10]. Si tratta di un interesse riconosciuto dai Trattati dell’Unione (art. 3 TUE, art. 67 TFUE), la cui salvaguardia si ritiene contribuisca a garantire – sempre con le parole della Consulta – “gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse (limitate) del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Già con riferimento al secondo test di proporzionalità, quello relativo all’idoneità delle misure adottate a raggiungere l’obiettivo avuto di mira, si potrebbe dubitare della legittimità del Facilitators package: obblighi di incriminazione così estesi sono solo apparentemente in grado di offrire una risposta davvero efficace; risultando a ben vedere disfunzionali, in un’ottica di effetto utile, allo scopo di proteggere le frontiere nazionali, poiché sottraggono risorse umane e materiali al contrasto delle forme più gravi di traffico organizzato, le sole in grado di muovere numeri significativi di undocumented migrants e dunque di porre concretamente in pericolo gli interessi protetti.
Sotto tale profilo, anzi, la censura di sproporzione parrebbe saldarsi a una parallela censura per violazione del canone della legalità penale, previsto dall’art. 49(1) CFR: per quanto una certa dose di vaghezza sia connaturata alla tecnica normativa dell’armonizzazione mediante direttiva (altrimenti gli Stati non godrebbero di alcun margine di discrezionalità nella scelta dei mezzi mediante i quali adempiere all’obbligo di incriminazione), là dove lo strumento europeo si prefigge lo scopo di definire i contorni di un comportamento illecito, come appunto nel caso dell’art. 1 della direttiva 2002/90/CE, gli elementi essenziali della condotta presa di mira devono essere univocamente identificabili da parte di tutti i legislatori nazionali[11]. Ciò a maggior ragione allorquando, stante il carattere ontologicamente transnazionale del reato, il canone della prevedibilità del precetto penale, senz’altro rientrante nell’art. 49(1) CFR anche in ragione dell’apporto della giurisprudenza di Strasburgo sull’art. 7 Cedu (che a sua volta integra la Carta ai sensi dell’art. 52, par. 3 della stessa), rischia di essere frustrato dall’adozione di discipline divergenti tra gli Stati membri.
5.2. Ma è soprattutto alla luce dei test di necessità e proporzionalità che la disciplina europea mostra le sue irrimediabili criticità. Se assumiamo, in linea con quanto talvolta affermano le istituzioni europee[12], che la finalità della criminalizzazione sia il contrasto alle sole reti del migrant smuggling, certamente non può dirsi necessaria a tale scopo la compressione dei diritti fondamentali di coloro che favoriscono ingressi irregolari mediante condotte umanitarie, i quali si vedono raggiunti (o anche semplicemente minacciati) da misure custodiali e patrimoniali, di carattere preventivo o sanzionatorio, le quali incidono i loro diritti alla libertà personale, alla reputazione e al patrimonio (artt. 6, 7 e 17 CFR).
Se invece assumiamo, con appare più verosimile alla luce del tenore testuale delle previsioni in esame, che lo scopo della criminalizzazione sia quello di prevenire qualunque forma di favoreggiamento[13], allora certamente le norme del Facilitators package (così come quelle nazionali che le implementano) sono necessarie, ma altrettanto certamente sono sproporzionate in senso stretto, dal momento che non riflettono un ragionevole bilanciamento tra gli interessi confliggenti in gioco. Vengono qui in rilievo non solo i già richiamati diritti degli autori del favoreggiamento, ma anche, e soprattutto, i diritti fondamentali dei migranti irregolari, quali la vita e l’integrità fisica, l’unità famigliare e l’asilo (artt. 2, 3, 7 e 18 CFR). È noto che la tutela di tali diritti risulta spesso demandata, per ragioni contingenti e al contempo connesse alla disciplina dei flussi migratori, alla società civile, mediante iniziative organizzate o individuali. La mancanza, o la limitatezza, delle vie di ingresso regolare (per lavoro, ricongiungimento famigliare e financo – come già ricordato – per richiedere asilo), rendono pressoché inevitabile la scelta di percorsi clandestini pericolosi, per mare o per terra, o comunque l’ausilio di soggetti terzi (si pensi al turista tedesco in procinto di rientrare dalla Grecia a bordo di un traghetto diretto a Ancona, al quale una donna afgana intenzionata a richiedere asilo in Germania chieda di essere nascosta all’interno dell’automobile). In tale contesto, l’effetto general-preventivo della sanzione penale diventa effetto dissuasivo (chilling effect) alla realizzazione di condotte umanitarie che consentirebbero di salvaguardare quei diritti fondamentali[14]. Non si dubita che almeno alcuni di tali diritti, come l’asilo e l’unità famigliare, possano entrare in bilanciamento con il contro-interesse all’integrità delle frontiere. Ma, a parte il fatto che analoga conclusione non vale per il diritto alla vita (come di recente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in un caso in cui le autorità Ungheresi avevano respinto un richiedente asilo siriano, trovato poi morto annegato in un fiume al confine tra Serbia e Ungheria[15]), il punto è che il test di proporzionalità in senso stretto esige che tale bilanciamento sia ragionevole. Viceversa, la criminalizzazione a tappeto di qualsiasi forma di favoreggiamento dell’ingresso, sottraendo al giudice la possibilità di prendere in considerazione, in chiave scriminante, le circostanze concrete che illuminano un’eventuale finalità umanitaria (salvo i limitati casi in cui ricorrano scriminanti di portata generale, come lo stato di necessità o l’adempimento di un dovere), sottende una scelta politico-criminale completamente polarizzata sull’interesse all’integrità delle frontiere.
5.3. Anticipando una possibile obiezione alla tesi sin qui presentata, si potrebbe sostenere che una disposizione – nella specie la norma definitoria del favoreggiamento dettata dal Facilitators package – non è illegittima in quanto sia possibile darne un’interpretazione illegittima, in questo caso la sproporzionata compressione dei menzionati diritti tutelati dalla Carta; bensì in quanto non sia possibile darne un’interpretazione legittima. L’obiezione, tuttavia, non coglierebbe nel segno.
In primo luogo, è agevole osservare come, nell’arco dei suoi oltre vent’anni di vita, il Facilitators package sia stato implementato dalla maggior parte degli Stati membri senza la previsione di scriminanti umanitarie, dando perciò vita a una prassi costante che non può essere trascurata quando si valuta la legittimità della disposizione sulla quale detta prassi si fonda (non diversamente da quanto accade, mutatis mutandis, quando la Corte costituzionale censura una disposizione alla luce del diritto vivente formatosi sulla stessa).
In secondo luogo, l’obiezione finirebbe per sovrapporre indebitamente il piano dell’interpretazione della disciplina europea con quello della sua attuazione nazionale. Un conto, infatti, è affermare che il Facilitators package possa essere attuato, dai legislatori nazionali, in maniera tale da ottenere, come disciplina di risultato, una disciplina legittima. Tale affermazione è senz’altro corretta e possono esserne considerati esempio quegli (isolati) ordinamenti che, oltre ad avere previsto sanzioni di lieve entità per le condotte di minore disvalore, hanno altresì esercitato la facoltà di introdurre scriminanti umanitarie funzionali alla tutela dei diritti fondamentali alla vita, all’integrità fisica, all’asilo e all’unità famigliare dei migranti (così, ad esempio, il Belgio, la Spagna e la Finlandia[16]). Tutt’altro discorso è affermare che il Facilitators package si possa interpretare in maniera tale da renderlo intrinsecamente immune dagli evidenziati profili di illegittimità. Tale risultato potrebbe essere ottenuto soltanto interpretando l’obbligo di criminalizzazione come se non includesse le suddette condotte umanitarie, il che tuttavia equivarrebbe a rileggere la facoltà prevista dall’art. 1, par. 2 della direttiva 2002/90/CE come se si trattasse di un obbligo, soluzione impraticabile in quanto manifestamente contra legem. La verità è che, quando ha optato per una scriminante umanitaria meramente facoltativa, il legislatore europeo non solo ha messo in conto la possibilità che venissero incriminate condotte umanitarie, ma le ha fornito una puntuale base normativa. E il contemperamento di interessi sotteso a tale base normativa, come visto del tutto sbilanciato a favore dell’integrità delle frontiere, non può essere corretto per via interpretativa senza stravolgere il significato testuale delle previsioni che lo cristallizzano.
6. In linea di principio, gli evidenziati profili di illegittimità del Facilitators package potrebbero essere corretti o de jure condendo, mediante un intervento del legislatore europeo; ovvero per via giudiziaria, mediante un intervento della Corte di giustizia dell’UE. In pratica, nel giro di pochi mesi, tra l’estate e l’autunno 2023, entrambe le strade sono state concretamente imboccate e attualmente avanzano lungo percorsi paralleli, peraltro potenzialmente in grado di influenzarsi a vicenda. Conviene esaminarle più nel dettaglio.
6.1. Con ordinanza del 17 luglio 2023 il Tribunale di Bologna ha rimesso alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali, relative rispettivamente alla compatibilità del Facilitators package e dell’art. 12 t.u. imm. con la Carta dei diritti fondamentali[17].
La vicenda oggetto del procedimento a quo, relativa all’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare rivolta a una richiedente asilo congolese per avere tentato di introdurre irregolarmente la figlia e la nipote nel territorio italiano, è la stessa che aveva dato origine alla sentenza della Corte costituzionale n. 63/2022. Dopo l’intervento della Consulta, infatti, il caso è tornato al Tribunale felsineo, dinanzi tuttavia a un diverso giudice, atteso che il venire meno delle aggravanti dichiarate illegittime ha determinato il passaggio di competenza dal Tribunale collegiale a quello monocratico. Questa volta il giudicante ha inteso le censure di sproporzionalità nel senso più ampio prospettato dalla difesa dell’imputata: quello cioè attinente non solo alla sproporzione delle pene, ma anche, a monte, delle stesse sottese scelte di criminalizzazione[18]. I dubbi di legittimità, sorretti da argomentazioni che ripercorrono quelle poc’anzi illustrate (v. supra, n. 5), hanno condotto il Tribunale a formulare i seguenti quesiti:
«se la Carta dei diritti fondamentali, e segnatamente il principio di proporzionalità di cui all’art. 52 par. 1, letto congiuntamente al diritto alla libertà personale e al diritto al patrimonio di cui agli artt. 6 e 17, nonché ai diritti alla vita e all’integrità fisica di cui agli artt. 2 e 3, al diritto all’asilo di cui all’art. 18 e al rispetto della vita famigliare di cui all’art. 7 osti alle previsioni della Direttiva 2002/90/CE e della Decisione quadro 2002/946/GAI […] nella parte in cui impongono agli Stati Membri l’obbligo di prevedere sanzioni di natura penale a carico di chiunque intenzionalmente favorisca o compia atti diretti a favorire l’ingresso di stranieri irregolari nel territorio dell’Unione, anche laddove la condotta sia posta in essere senza scopo di lucro, senza prevedere al contempo l’obbligo per gli Stati Membri di escludere la rilevanza penale di condotte di favoreggiamento dell’ingresso irregolare finalizzate a prestare assistenza umanitaria allo straniero».
Il secondo quesito è identicamente formulato, ma in luogo del riferimento alla direttiva e alla decisione quadro, fa riferimento all’art. 12 t.u. imm., cioè alla norma penale attuativa degli obblighi di incriminazione europei nell’ordinamento italiano.
In considerazione della loro rilevanza e complessità, i quesiti sono stati assegnati alla Grande Sezione della Corte di giustizia, dinanzi alla quale si è tenuta udienza il 18 giugno 2024. Se la Corte rilevasse i profili di “ostatività” prospettati dal giudice a quo potrebbe, anzitutto, invalidare l’intera disciplina prevista dal Facilitators package ai sensi dell’art. 267 (1) lett. (b) TFEU. Sulla base degli stessi argomenti, e venuta meno la “copertura” offerta dalla disciplina europea, i giudici nazionali potrebbero agevolmente disapplicare le rispettive norme penali, quanto meno nella parte in cui prevedono la punibilità di condotte realizzate per finalità umanitaria. La soluzione dell’invalidazione potrebbe essere agevolata dal fatto che, come verrà illustrato infra, la Commissione ha già formulato una proposta di direttiva che sostituisca il Facilitators package, sicché il vuoto legislativo sussisterebbe solo per i mesi necessari all’approvazione della nuova direttiva.
Alternativamente, la Corte di giustizia potrebbe ritenere percorribile la strada dell’interpretazione conforme alla Carta, affermando che gli obblighi di criminalizzazione devono essere letti come se non comprendessero le condotte funzionali alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti alla vita, all’integrità fisica, all’unità famigliare e a richiedere asilo. A nostro avviso, come già osservato, si tratterebbe di una lettura contra legem, posto che equivarrebbe a trasformare la scriminante umanitaria da facoltativa a obbligatoria. Nondimeno, anche questa strada consentirebbe, sebbene in maniera complessivamente meno incisiva rispetto all’invalidazione tout court, il superamento dei profili di illegittimità evidenziati, e metterebbe i giudici penali in condizione di disapplicare le norme nazionali.
6.2. Dopo che per molti anni le istituzioni europee erano rimaste inerti, malgrado una riforma della disciplina in esame fosse stata a più riprese auspicata[19], il 28 novembre 2023, forse anche stimolata proprio dal rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia[20], la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva volta a definire le regole minime per il contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, in sostituzione di quelle previste dal Facilitators package.
L’articolo 3, par. 1 della Direttiva proposta dalla Commissione stabilisce che gli Stati membri siano obbligati a criminalizzare l’assistenza intenzionale all’ingresso, al transito o alla permanenza di stranieri privi di regolari documenti, a condizione che, alternativamente: (a) tale assistenza si prestata a scopo di lucro o per ottenere un altro vantaggio materiale; oppure (b) vi sia un elevato rischio di cagionare un grave danno a una persona (“a high likelihood of causing serious harm to a person”). In base a quanto si legge nel settimo considerando della proposta, l’inserimento di tali elementi specializzanti dovrebbe risolvere in radice il problema della criminalizzazione di condotte umanitarie. Tale affermazione, tuttavia, non ci pare condivisibile.
Si consideri, anzitutto, che, trattandosi di regole minime, nulla impedirebbe agli Stati membri di prevedere norme penali dotate di ambito di applicazione più ampio, e soprattutto di lasciare in vigore quelle che hanno già introdotto in attuazione del Facilitators package. Proprio perché più estese, queste ultime risulterebbero conformi anche alla nuova direttiva, e non ci pare che l’attuale clima politico sia favorevole a un ripensamento delle vigenti regole sulla lotta al migrant smuggling in chiave restrittiva.
In secondo luogo, gli elementi specializzati sub lett. (a) e (b) non sono, da soli, sufficienti a evitare che, in molti casi, vengano criminalizzate attività finalizzate a tutelare i diritti fondamentali dei migranti. Si pensi all’assistenza legale ai richiedenti asilo, prestata dietro legittima e proporzionata retribuzione; al soccorso di decine di migranti realizzato dal comandante di una piccola imbarcazione, che in tal modo ponga in pericolo anche il proprio equipaggio; all’accompagnamento lungo un impervio sentiero, al confine tra due Stati, di stranieri trovati smarriti in montagna da un pastore. Certo, alcune di queste attività potrebbero ricadere nell’ambito applicativo di cause di giustificazione di portata generale. Tuttavia, occorre tenere presente che gli Stati prevedono discipline diverse, e spesso assai restrittive, sui presupposti dello stato necessità; e che in ogni caso la sussistenza della causa di giustificazione dovrebbe essere accertata in un processo, con conseguente chilling effect nei confronti di qualunque analoga attività umanitaria.
La principale criticità riscontrabile nella proposta della Commissione è peraltro rappresentata dall’assenza di qualsivoglia riferimento a una causa di esclusione della responsabilità per le condotte umanitarie. Sotto questo profilo si assiste addirittura a un arretramento rispetto all’assetto attuale, posto che l’introduzione (o il mantenimento in vigore) di scriminanti umanitarie, non costituendo più una facoltà espressamente riconosciuta in capo agli Stati membri, potrebbe in linea di principio provocare l’avvio di procedure di infrazione per difettosa attuazione della direttiva.
7. La giornata mondiale del rifugiato potrebbe essere, in conclusione, l’occasione per avviare un’ampia riflessione, il più possibile interdisciplinare, sul senso e sui limiti della criminalizzazione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare in Europa. Tenuto conto del parallelo dipanarsi della via giurisdizionale, tracciata dal caso Kinsa, e di quella normativa, avviata dalla proposta della Commissione europea, il contesto appare, invero, quanto mai propizio per formulare e condividere riflessioni concretamente in grado di incidere sugli sviluppi della legislazione penale in materia, nella direzione di un assetto completamente rinnovato e finalmente conforme alla Carta dei diritti fondamentali.
[1] Si veda, con riferimento ai numerosi casi di richiedenti asilo siriani costretti a rivolgersi alle reti di smugglers per raggiungere l’Europa, L. Achilli, The “Good” Smuggler: The Ethics and Morals of Human Smuggling among Syrians, in The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 2018, n. 3, 76 ss.
[3] Cfr., ex multis, J.C. Hathaway, The Human Rights Quagmire of “Human Trafficking”, in Virginia Journal of International Law, n. 1, 2008, 1 ss.
[4] Si veda ad es. V. Militello, La tratta di esseri umani: la politica criminale multilivello e la problematica distinzione con il traffico di migranti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 86 ss.
[5] L’art. 12 t.u. imm., ossia la complessa disposizione che dà attuazione al Facilitators package nell’ordinamento italiano, prevede, al comma 2, una causa di giustificazione per le “attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”: tuttavia, il duplice riferimento al territorio italiano rende la scriminante inapplicabile proprio alle situazioni nelle quali risulterebbe utile, quelle cioè in cui viene favorito l’ingresso irregolare di uno straniero in condizioni di bisogno (per il favoreggiamento della permanenza irregolare, infatti, opera già il filtro del dolo specifico di profitto). Per approfondimenti sul punto sia consentito rinviare a S. Zirulia, Il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, cit., p. 197 ss.
[6] Corte cost., 8 febbraio 2022, n. 63, Pres. Amato, Red. Viganò, spec. n. 4.5 del Cons. in dir. Per un denso commento alla pronuncia v. A. Spena, Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare vs. traffico di migranti: una dicotomia rilevante nell’interpretazione dell’art. 12 TUI? (Ragionando su Corte cost. 63/2022), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3/2022, p. 238 ss.
[7] Come testualmente riportano i lavori preparatori del Protocollo: cfr. Travaux préparatoires: United Nations Convention against Transnational Organized Crime, p. 469.
[8] Cfr., ad esempio, R. Alexy, Constitutional Rights, Proportionality, and Argumentation, in J. Sieckmann (ed.), Proportionality, Balancing, and Rights. Robert Alexy's Theory of Constitutional Rights, Springer, 2021, 2 ss.
[9] Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 22 gennaio 2013, C-283/11, Sky Österreich GmbH, §§ 48, 50
[10] Corte cost. 63/2022, cit., Cons. in dir. n. 4.2.
[12] V., da ultimo, Commissione europea, Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2020/C 323/01).
[13] In questo senso V. Mitsilegas, The Criminalisation of Migration in the Law of the European Union. Challenging the Preventive Paradigm, in G.L. Gatta, V. Mitsilegas, S. Zirulia (eds.), Controlling Immigration Through Criminal Law. European and Comparative Persectives on “Crimmigration”, Hart, 2021, p. 29.
[14] Sul chilling effect come criterio per estendere il novero dei diritti fondamentali attinti dalle scelte di incriminazione, introducendoli nel giudizio di proporzionalità, v. N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, 2020, p. 251 ss.
[16] Per una sintetica ricognizione sia consentito rinviare a S. Zirulia, Il favoreggiamento, cit., p. 46.
[18] Su questa distinzione v. F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, 2021, p. 239 ss.